I protagonisti di questa vicenda sono Lucas (Marc-André Grondin), Manu (Arthur Dupont), Philippe (Abraham Belaga), Jacob (Jules Pelissier) e Mario (François Civil), che decidono di mettere su un gruppo rock. Siamo negli anni ’80, sesso droga e rock’n'roll sono un must per i giovani, i Rolling Stones e David Bowie invadono la scena e, cavalcando il mito degli anni ’60 e ’70 appena dietro l’angolo, il gruppo di amici decide di fondare i Lust e di farsi notare da una casa discografica. Nonostante la concorrenza, i ragazzi riescono a fare strada, ma l’equilibrio dei Lust inizierà a mancare con l’arrivo della tenebrosa Laura (Elisa Sednaoui), la groupie che farà innamorare sia Lucas che Manu, ma che starà insieme a quest’ultimo, scatenando la gelosia dell’amico.
Apertura con originali titoli di testa ed interessante e promettente colonna sonora, “Bus Palladium” rivela poco dopo la sua vera identità: non si discosta nemmeno lui dallo standard del film francese, lento e monotono, vuoto a tratti. Si tratta ancora una volta di una storia da raccontare in meno tempo, che si prolunga fino ad annoiare lo spettatore, tuttavia rimangono i contenuti, che non sono totalmente da disprezzare. Niente che non abbiamo già visto: aspiranti rockstar, vite fatte di eccessi, scontri tra membri della stessa band, separazioni, ritorni, amori, tradimenti. Un po’ “The Doors” e un po’ “The Runaways“, la storia si concentra su due protagonisti: Lucas e Manu. Il regista analizza così il loro rapporto d’amicizia, che inizia a mutare con l’arrivo di Laura, una splendida Elisa Sednaoui più conosciuta sulle passerelle che sul grande schermo (Moschino, Dolce e Gabbana, Victoria’s Secret, tanto per rendere l’idea) e sicuramente più adatta alla moda che al cinema. La gelosia e la rivalità tra i due ragazzi, finisce per influire anche sul resto della band, impotente di fronte a quelli che sono i leader indiscussi. Due personalità differenti: l’egocentrismo e gli occhioni di Arthur Dupont, contro il fascino del silenzioso Marc-André Grondin, uno scontro che porta ad un esito inevitabilmente negativo. Incompatibilità caratteriale, chiamiamola pure così.
L’analisi che Christopher Thompson fa dei suoi personaggi è più che valida, tralascia forse troppo i personaggi di contorno, ma a rendere meno efficace la storia in realtà non è questo, ma il protrarsi dei tempi: scene lunghe e quantomai superficiali, dialoghi stentati e atmosfere cupe che di certo non aiutano ad invogliare lo spettatore. Non pessima come opera prima, ma comunque uno sguardo quasi banale sul mondo dei giovani e sui mitici anni ’80 che non lascia un sapore del tutto piacevole all’assaggio.
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